Nazionale. Cibo, salute, criminalità, disoccupati. È l’Italia il paese che sa meno di sé
L’Italia è il Paese che ha la più distorta percezione di sé. Lo afferma uno studio della sezione inglese di Ipsos, che viene presentato con una dettagliata infografica sul Corriere della Sera del 31 agosto 2018 in un articolo di Simone Disegni che interpella anche brevemente Nando Pagnoncelli, presidente di Ipsos Italia.
Beauty is in the eye of the beholder, recita il vecchio adagio britannico reso celebre da Margaret Hungerford: la bellezza è negli occhi di chi la guarda, nient’altro che il frutto della nostra percezione. Ma nell’era della grande sfiducia e dell’informazione iper-frammentata, lo stesso vale anche per i grandi fenomeni che ci circondano: la crescita economica o i flussi migratori, la qualità del sistema sanitario o il numero di omicidi. Tutto è alterato nella nostra percezione, e il Paese al mondo che più distorce i fatti, oggi, è proprio l’Italia.
É questa la conclusione di un colossale studio realizzato da Bobby Duffy, direttore della sezione inglese di Ipsos, su un campione di oltre 50 mila interviste realizzate dall’istituto di ricerca in 13 Paesi negli ultimi cinque anni. Una mole di dati la cui analisi a tutto tondo sarà contenuta in The Perils of Perception, il libro che Duffy presenterà il prossimo 6 settembre a Londra e già acclamato da illustri esperti come la lettura «obbligatoria» dell’anno per capire il tempo in cui viviamo.
La denuncia che Duffy lancia sulla base dei dati raccolti sulla capacità della società odierna di comprendere il mondo in cui vive è senza appello: «Ci sbagliamo su quasi tutto». Con poche eccezioni. Gli americani, che non se la passano per niente bene, credono che il 17% della loro popolazione sia di religione musulmana (è l’1%), e che il 24% delle teenager tra i 15 e i 19 anni partorisca (sono il 2,1%). Gli olandesi credono che oltre il 50% della popolazione carceraria sia straniera, ma la percentuale reale non è che del 19%. Sul tema sembrano avere le idee più chiare gli svedesi, che però credono che il tasso di disoccupazione sia più alto del 200% di quanto non sia in realtà. A uscire «a pezzi» dall’analisi di Duffy — che da fine settembre diventerà anche direttore del Policy Institute del King’s College di Londra — è però ancor più l’Italia. L’inquietante classifica stilata dai ricercatori inglesi a compendio dello studio non lascia spazio a dubbi: il nostro è il Paese con la percezione più distorta dei fatti, seguito a ruota dagli Stati Uniti e dalla Francia. Dal tasso di disoccupazione all’incidenza del diabete, sino al tema caldo dell’immigrazione, non c’è un solo ambito in cui sembra abbiamo cognizione della portata delle sfide che ci circondano.
«I risultati della ricerca rendono l’idea della gravità di almeno due piaghe della nostra società ben note e quanto mai allarmanti», riflette Nando Pagnoncelli, presidente di Ipsos Italia che ha elaborato i dati sul nostro Paese. «Da un lato il livello d’istruzione troppo basso, con quel 16,3% di laureati sulla forza lavoro che continua a condannarci al fondo del ranking Ue; dall’altro la moderna dieta mediatica in cui primeggia, accanto alla Tv, l’informazione “fai-da-te” su Internet e sui social media». Un modello informativo che privilegia la ricerca di notizie, numeri o opinioni che confermino ciò che già si sa, piuttosto che rivelare la realtà dei fatti. E che la politica sta rapidamente imparando a sfruttare a suo favore.
«Non è un caso che a guidare la classifica della distorsione percettiva siano Italia e Stati Uniti — osserva ancora Pagnoncelli —: due Paesi in cui è in atto il cambiamento più profondo nel rapporto tra elettori ed eletti, con questi ultimi ad inseguire l’opinione pubblica e a cavalcarne le paure».
Ignorati, distorti, manipolati, i fatti sembrano insomma scomparire dentro una nebbia imperscrutabile di opinioni, percezioni e like. Come se ne esce? Per Pagnoncelli non ci sono soluzioni semplici, né a portata di mano. «Abbiamo bisogno di tempi lunghi — sottolinea il sondaggista — ma l’unica ricetta è quella di un’assunzione di responsabilità da parte di tutti e tre i soggetti chiave della società: le istituzioni, il mondo dell’informazione e i cittadini stessi». Un appello collettivo a salvare la realtà, prima che sia troppo tardi.