Il mestiere di insegnare più forte di tagli e crolli: permane un atteggiamento di fiducia verso gli insegnanti italiani, nonostante tutto
Un recente sondaggio Demos – Coop indica il permanere di un atteggiamento di fiducia verso gli insegnanti italiani, nonostante siano lasciati alle prese con i tanti problemi irrisolti di una scuola su cui si investe meno che altrove. Ne propone una sintesi Ilvo Diamanti su La Repubblica del 16 dicembre 2019.
La scuola, in Italia, attraversa una fase complicata. E i cittadini lo percepiscono bene, come mostra il sondaggio dell’Osservatorio Demos- Coop, realizzato di recente. I problemi segnalati, però, non riguardano tanto la scuola e i soggetti che vi operano. Piuttosto: le risorse disponibili. Sempre scarse. In modo sempre più evidente. D’altronde nel nostro Paese si investe circa l’8% per cento della spesa pubblica per l’istruzione (Open Polis su dati Eurostat). Siamo, cioè, in fondo alla graduatoria europea. Ben al disotto della media Ue (10,2%). Non è una novità, ma non c’è motivo di consolarsi. Neppure di rassegnarsi, se possibile. Tanto più che i soggetti del sistema scolastico continuano ad essere apprezzati. Soprattutto gli insegnanti. I professori universitari, in particolare, nella graduatoria definita in base al prestigio sociale, sono secondi. Appena dopo i medici. Davanti (di poco) rispetto ai giudici e ai magistrati. Ma anche i docenti di scuola superiore, elementare e media sono percepiti in modo positivo da una componente elevata di cittadini. Fra 57% e 52%. Dunque, oltre la “media” generale.
Gli insegnanti vengono apprezzati perché ritenuti (molto o abbastanza) “preparati”. Tuttavia, in prospettiva “storica”, emerge, diffusa, la sensazione che sia in corso un certo declino. Non tanto nell’Università, che, nei giudizi, appare migliore o, comunque, “rimasta più o meno uguale”. Ma il sistema educativo, negli ultimi 10 anni, alla maggioranza dei cittadini appare “peggiorato”.
Insomma, la scuola e il sistema formativo, presso l’opinione pubblica italiana, suscitano sentimenti contrastanti. Se ne riconoscono il ruolo e l’importanza, ma anche i problemi. La preoccupazione maggiore riguarda, comprensibilmente, le prospettive professionali degli studenti. La critica più condivisa riguarda, infatti, “lo scarso collegamento con il mondo del lavoro”. Insieme alla carenza di “risorse per la didattica”. E alla mancanza di sostegno alle famiglie e agli studenti socialmente “svantaggiati”. Che vedono, in questo modo, il loro svantaggio crescere. D’altronde, molte ricerche (di)mostrano una relazione stretta fra “carriera” scolastica e professionale. Mentre è noto il rapporto fra il rendimento scolastico e la posizione sociale della famiglia. Così, continua a incombere il rischio di un futuro – almeno parzialmente – pre-definito. Pre-vedibile. In base al vantaggio (sociale e familiare) di partenza. Un problema che condiziona la “missione” stessa della scuola. Che dovrebbe offrire ai giovani “pari opportunità”. Un futuro. Nel lavoro. E non solo. È interessante osservare come le “responsabilità” di questi problemi non vengano attribuite solo agli attori del sistema scolastico “pubblico”. Infatti, solo una piccola minoranza invoca un maggiore peso del “privato”. Viene, invece, richiamato il ruolo della famiglia stessa. “Colpevole” di intromettersi spesso, e assai più del passato, nelle vicende scolastiche. Per difendere i figli di fronte ai professori. Mentre, in questo modo, li de-responsabilizza. E interferisce sul loro percorso. Non solo nella scuola. Si tratta di problemi noti, che l’indagine di Demos-Coop conferma. Ma è utile osservare e verificare come si ripropongano, nel tempo, nonostante le critiche e le autocritiche. L’indagine sottolinea, inoltre, come l’insoddisfazione risulti più acuta dove non vi sono studenti in famiglia. Dove la scuola è, dunque, percepita con maggiore distacco. Dis-incanto. Mentre chi fa i conti quotidianamente con il sistema formativo, attraverso l’esperienza dei figli studenti, è più indulgente. Anche se non meno critico. E preoccupato. Perché se il futuro dei giovani dipende dalla scuola: occorre investire nella scuola. Perché i giovani “sono” il futuro della società. Il nostro futuro. Per questo, anni fa, ho pubblicato una “Bussola” intitolata: “Non studiate!”. Per denunciare la scarsa attenzione dedicata dalle istituzioni e dai governi verso la scuola e i giovani.
Scrivevo, allora: «I professori: verranno aboliti per legge, insieme alla Scuola. (…) Perché la cultura rende liberi, critici e consapevoli. Ma oggi non conviene». Proprio per questo, invece, oggi “conviene” investire nella scuola. Soprattutto in Italia. Dove la maggioranza dei cittadini ritiene che “i giovani, per avere un futuro, se ne debbano andare altrove”. Come effettivamente avviene spesso. Visto che i nostri laureati sono richiesti. Perché, malgrado l’opinione rilevata in questo sondaggio, il nostro sistema formativo è di qualità elevata. Al tempo stesso, dobbiamo fornire ai giovani buone ragioni per rientrare. E ai giovani di altri Paesi: per venire qui. A studiare. Dobbiamo investire nella scuola. Nelle giovani generazioni. Per consentire loro di superare la condizione di “adulti con riserva”, come direbbe “quel gran genio del mio amico”. L’indimenticabile Eddy Berselli. E per offrire alle Sardine, domani, non una piazza, ma un mare nel quale nuotare. Per non perdere la speranza. Per non perdere il futuro. Per non perderci.
(Anche allegato in pdf)